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Droste

Non più penna ma tastiera
le mie dita van sfiorando
e la musa più sincera
dai ricordi va affiorando,
come fiori in primavera
le sue labbra sto assaggiando.
E con lei quì accanto
io vi narro questo canto.

Era un mondo decadente
fatto d'avide menzogne
per sopir tutta la gente.
Fosser'uomini o carogne
differivan d'un fendente
come sorci nelle fogne.
E chi anela p'un sorriso
più non può farci buon viso.

Presi il mare per fuggire,
per scordare il mio passato,
per riuscire a smentire
tutto quello che ero stato.
Ma trovai per la mia strada
la mia ombra e il suo operato,
e la prua al sol nascente
rivolgei tristemente.

Come il porco nel recinto:
dopo giorni di battaglia,
finirà a darsi per vinto
e la porta più non scaglia.
Il suo animo s'estinto
a emular questa marmaglia.
dona il cibo ad una belva
e scordando andrà la selva.

Come Erasmo l'olandese,
de li folli ammiratore,
io m'accorgo a più riprese
che se savio l'uomo more,
non sì furbo esso si rese
nel crescer dopo l'albore.
E dei vecchi folli e infanti
ascoltar dobbiamo i pianti.

Sol non sono e ciò m'aggrada,
ma al contempo mi rattrista:
mille voci senza spada
non san più aprirsi la pista
e periscon per la strada,
che da nulla poco dista.
E appassiscon le speranze
contemplando queste danze.

Due specchi che si osservano
sono mondi somiglianti,
nel mezzo i sogni remano
come demoni tra i santi.
Le forze presto scemano
perché i mari sono tanti
ma tra loro tutti uguali,
son farfalle senza ali.

Non mi resta che sperare
di spaccare qualche vetro,
imparare a volare
e lasciarmi tutto indietro;
La mia musa riabbracciare
e schiarire un mondo tetro.
Esser forse senza inganno
come i folli e quel che fanno.

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