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Cloud Atlas

Che Cloud Atlas fosse un gran film lo si capiva già dalle reazioni dei critici. Nulla è sinonimo di qualità quanto una buona dose di pessimi giudizi. Variegati dispenser di carta straccia si affollano a sparlare di ogni film intelligente, così da dare a vedere di essere così arguti da poter criticare anche quello.

Da parte mia devo dire che è un film arrogante. L’arroganza di voler essere tutto e uno soltanto. Di voler essere la summa del cinema classico, dell’epica, della filosofia, della religione e dell’etica. Quell’arroganza dei registi neofiti che non vedono l’ora di mettere la firma su quello che senza alcun dubbio sarà il più grande film mai girato. Non puoi permetterti semplificazioni, leggerezze, sgarri stilistici; tutto deve essere perfetto.

Solitamente questo tipo di arroganza ha il sano effetto di dare ai giovani artisti il primo grande schiaffo formativo che li guiderà, se non ad un’auspicabile maturazione, almeno ad un lieve miglioramento. Si guarda in faccia la realtà e si capisce l’importanza di scarnificare il superfluo e toccare vette elevate partendo dai più inabissati bassifondi.

Talvolta però, quando registi navigati sembrano esser vittima dell’egocentrismo del neofita, ci si pone subito una domanda: è un capolavoro o un minestrone riscaldato?

Gridare al minestrone farà vendere più copie al settimanale da casalinga in cui scrivi per tre dollari a cartella. La mia onestà e l’assenza di un incentivo pecuniario mi portano, però, a dover propendere per il capolavoro.

Forse non il tipo di capolavoro che si guadagna a spintoni un posto nei manuali del cinema rivoluzionando il genere. Ma il tipo di capolavoro che incornicia il cinema così come ancora lo conosciamo, in un tripudio di virtuosismi tecnici e verve creativa.

Una lezione di montaggio della durata di tre velocissime ore, dove quattro, cinque, sei storie… si intrecciano come il coro unanime di una sinfonia atemporale. Le scene che lo spettatore immagina stiano per arrivare, arrivano; ma in un epoca diversa. Una dissonante e sublime blue note che per tutto il film si ripete come in una ballata; prendendoci per mano e alitandoci sul collo come un’amante o come un assassino.

Innumerevoli le citazioni al mondo cinematografico e letterario. Altro argomento da dare in pasto ai critici e al loro vezzo di apparire eruditi in materia. Credo che la citazione sia parte fondamentale dell’arte in genere. Rievocare elementi universalmente conosciuti è un linguaggio efficace così come l’utilizzo di parole di uso corrente. Cos’è l’arte se non l’idioma delle emozioni? O vogliamo forse criticare buona parte dell’arte classica per i suoi continui riferimenti alla mitologia e ai poemi epici?

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