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Lettera al Prof

Volevo scusarmi per la mia inconsueta emotività. Ad essere sincero credo di essere più sorpreso di quanto possa esserlo lei: è la prima volte che verso lacrime che non siano d'amore. Onestamente me lo sarei aspettato per la morte di qualche caro o per un evento paricolarmente commovente, e invece in tutti quei casi sono sempre stato una roccia, perfino troppo freddo se vogliamo. Così mi sono sentito stimolato ad indagare le cause di un evento così poco prevedibile e da me per primo inaspettato.


Sicuramente il motivo non può essere da ricercarsi nell'esito di un esame: per quanto possa essere importante solitamente non mi fa molto effetto. Anche la morte in fin dei conti è qualcosa di molto grave ed importante, eppure ai soldati, a forza di averla sotto gli occhi, non fa più effetto. Sicuramente avrà colto la sottile similitudine ed avrà intuito che non sono uno studente brillante. Difatti nell'anno in cui mi sarei dovuto laureare mi ritrovo con meno di 15 esami superati. La prima idea che un professore solitamente si fa in questi casi è quella di un possibile problema con l'apprendimento di alcune materie, ma onestamente credo che le vere cause siano ben più velate e legate a problemi di motivazione ed approccio allo studio. Non credo di essere un genio e ho conosciuto persone più argute di me, ma non credo che mi manchi la stoffa per certi argomenti. Non lo dico per presunzione, ma perchè credo che dietro ci sia una grande passione, e dove c'è una grande passione tutto è possibile.


A questo punto potrebbe già essersi annoiato, la capisco. Comunque continuerò parlandole un po' di me e delle mie passioni, dovesse anche solo servire a buttar fuori un po' di scorie. A due anni il primo bacio sulle labbra. Qualcuno avrebbe potuto facilmente intuire che sarei stato incline ad avere molte passioni, ma in questi casi di solito ci si limita alla foto ricordo. In se conda elementare, ossessionato da voler eliminare l'attrito sognando con occhi di bambino il moto perpetuo, inventai la monorotaia. Feci anche un progetto realizzato con pastelli a cera per la sezione trasversale del binario magnetico a forma di fungo, peccato che poco dopo scoprii che i giapponesi mi avevano preceduto; chissà magari se fosse andata diversamente oggi l'ATAC funzionerebbe meglio. In quinta elementare trovai su un vecchissimo 486 portatile di mia madre un programma che mi attrasse per il suo sfondo blu: QBASIC. Così cominciai a realizzare piccoli algoritmi per lo più matematici, ed iniziai ad innamorarmi della programmazione per il suo non avere confini e darti la libertà di poter realizzare qualunque cosa ti saltasse in mente. Alle medie ero uno studente modello: brillante e con ottimi voti, un mezzo secchione. In terza media mi arrabbiai con la professoressa di matematica perchè non voleva dirmi come trovare il volume di una sfera. Alle superiori ho insegnato il pascal alla professoressa di matematica, la quale in materia aveva evidenti lacune. Difatti dal terzo superiore in poi ho iniziato ad andare sempre peggio in matematica, disinnamorato di una materia che un tempo amavo. In compenso le mie conoscenze informatiche miglioravano costantemente. E... si ho fatto e faccio da sempre il "tecnico schiavo" per amici e parenti.


La scienza e l'informatica non sono però le mie uniche passioni, ad esempio ho sempre amato la scrittura. Alle elementari ho iniziato a scrivere poesie, e non ho ancora smesso. Ho vinto alcuni premi letterari nazionali, grazie al continuo coinvolgimento della mia professoressa di italiano, più capace di quella di matematica... più recentemente mi sono appassionato di design grafico dal punto di vista sia estetico che funzionale, ed anche di fotografia, arrivando alla realizzazione di alcuni piccoli progetti e alcune mostre fotografiche.


Al momento di iscrivermi all'università ero uno dei pochi ad essere indeciso tra ingegneria informatica e lettere... La mia scelta come lei sa ricadde sulla prima opzione, sostanzialmente perchè mi ero detto che era un campo dove era necessaria una preparazione adeguata, mentre le altre mie passioni potevano anche continuare in maniera autodidatta. Certamente anche una prevedibile considerazione delle possibilità di lavoro ebbe il suo peso... in fondo però è vera anche un altra cosa: io ho pochissima memoria nozionistica e non amo leggere troppo a lungo, e passare esami costituiti da grossi libroni di storia antica per me sarebbe stato impossibile; mentre nelle materie tecniche l'importante è comprendere come una cosa funziona per divenire padroni del concetto e non imparare a memoria lo stesso. In parte avevo ragione: su alcuni esami ammetto che studiando poco o niente, utilizzando intuito ed il frutto di anni di passione, non ho avuto problemi a prendere voti al di sopra del 25. La controparte furono le continue bocciature a quegli esami che richiedevano o grande memoria, o un disciplinato svolgimento di montagne di esercizi terribilmente slegati dalla vita reale, e quindi poco stimolanti. Questo non è il caso della sua materia, il mio è un discorso estremamente generale.


Così col passare del tempo mi sono trovato assolutamente demotivato e soprattutto sono stato portato a detestare cose che amavo, solo perchè me ne è strata mostrata una faccia, a mio avviso fuorviante, che non ho gradito. In effetti la realtà che ho visto nella mia esperienza universitaria, è quella di un tutti contro tutti selvaggio unito alla scremazione sistematica. Nel mio piccolo ritengo che l'obbiettivo finale dell'istruzione sia quello di creare cultura e non quello di creare classi elitarie di macchine da studio attraverso la demotivazione diretta o indiretta di chi ha un tipo di apprendimento diverso. In realtà ognuno ha un suo tipo di apprendimento del tutto diverso da quello degli altri, non ci si può arrecare il diritto di sceglierne uno universale, per altro molto discutibile. Ma la cosa grave è che gli studenti più disciplianti, riescono ad adattarsi a questo schema artificiale di apprendimento, ma a quale costo? Al costo della loro felicità. Tutti si lamentano dello studiare, ed è così usuale che ho iniziato a pensare che fosse normale, che per vivere è necessario soffrire e anche molto. In effetti in questo paese questa realtà è una costante, non solo nello studio, ma anche e soprattutto nel lavoro. Io però sono tra i fortunati che hanno avuto la possibilità di viaggiare abbastanza nel corso della vita ed ho scoperto che la realtà non è così ovunque. Infatti se riuscirò a laurearmi sono assolutamente deciso a specializzarmi in uno tra i paesi che più mi affascinano per valori e qualità della vita: Tutta la Scandinavia, Canada, Australia, Nuova Zelanda. In effetti ora come ora sono così demotivato che mi sono anche informato sulla possibilità di finire anche la triennale lontano da quì, ma non è semplicissimo. Non è una fuga verso l'eden, che quasi sicuramente alla fine potrebbe deludere, ma ritengo che quando sei scontento di uno o più aspetti della tua vita, devi cambiarla. Non puoi subirla passivamente: vorrei fare altre cose nella vita oltre a cercare di laurearmi. Se quando mi distraggo studiando giocassi a tetris forse non avrei scritto tutto questo, il problema è che quando mi distraggo spesso mi metto a studiare altre cose che spesso riguardano proprio l'informatica. Qualcosa deve voler dire, o almeno io lo spero.


Come farei l'istruzione io? Come disse Antoine de Saint-Exupéry "Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito". Questa frase vale più di moltissimi manuali sull'insegnamento e non solo. Come le dicevo io sono poco disciplinato, ed ho poca memoria, un disastro di studente quindi. Però, quando mi appassiono a qualcosa, non solo la ricordo e la padroneggio, ma non soffro studiandola. Suppongo quindi che chi istruisce debba preoccuparsi soprattutto di creare quell'interesse. Una volta che c'è quello il suo lavoro, a volte, potrebbe essere già finito: gli studenti divorerebbero il programma appena tornati a casa! Come far nascere l'interesse? Bella domanda. Le soluzioni più adottate e che sembrano funzionare meglio sono fondamentalmente due: Insegnamento orientato al problem solving e al lavoro di gruppo su situazioni reali e stimolanti, ambiente che favorisce il brainstorming. Il primo è di attuazione piuttosto semplice, il secondo è più complesso; infatti è necessario che docenti ed alunni siano effettivamente sullo stesso piano e per quanto in molti ci provino, non è facile sentirsi sullo stesso piano di chi deve giudicarti. Questo è un problema strutturale; c'è chi ha tentato di risolverlo con l'abolizione del concetto di esame e di "ora di lezione" ed introducendo metri di giudizio più dinamici e meno invasivi. Altri hanno pensato di servirsi di esaminatori esterni e sconosciuti, che difatto non esaminano solo te, ma anche l'operato del professore, che quindi per forza di cose inquadrerai, e lui a sua volta ti inquadrerà, come un alleato. Inoltre per favorire il brainstorming credo sia di vitale importanza anche il concetto di campus: vivere con persone con cui condividi interessi inevitabilmente li alimenta e li porta ad un livello superiore. Ci sarebbe molto altro da dire, ma non voglio fare un trattato sull'insegnamento, anche perchè non ne ho nozioni sufficienti per aver voce in capitolo.


Per il lavoro il discorso cambia di poco. Tutte le multinazionali di più grande successo molto spesso utilizzano questi stessi valori per trarre il massimo dai propri dipendenti. In effetti ogni volta che percepisci il lavoro come un obbligo e non come un piacere, sei infelice. L'infelicità non è solo un problema psicologico, ma anche economico: lavoratori e studenti infelici rendono poco.


Se si trovasse d'accordo con me su qualcuno dei punti esposti, per favore non mi risponda con il solito "non ci sono i soldi", questo lo so già. Ma il sapere che lei e magari anche qualcun'altro condivida questi pensieri mi basta. Mi fa intravvedere un bagliore di speranza per questo paese e, più in generale, per certe brutte pieghe che il capitalismo spesso si porta dietro.


Pensando a cosa scriverle mi è spesso balenata quest'immagine: un idraulico il cui sudore versato evapora all'istante nell'ammirare soddisfatto il suo lavoro finito, privo di sbavature e a suo modo un capolavoro di estetica e funzionalità.
Non sapevo come inserirlo nel mio sproloquio ma non volevo escluderlo da esso.




Spero di non averle rubato tempo prezioso,
cordialmente,
Andrea.

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